Lanzarote: l’isola del fuoco


E’ il 15 marzo 2011 quando il solito gruppo di maniaci del viaggio low-cost a tutti i costi decolla verso lidi atlantici. Tra insulti e maledizioni di ogni sorta da parte dei cari amici e parenti studenti/lavoratori/perditempo lasciati sul suolo italico, il primo dei due voli previsti per raggiungere l’isola canarina decolla da Ciampino alle ore 6.15. Dopo un “breve” scalo a Madrid (durante il quale i nostri eroi non hanno saputo resistere a consuete tapas y canas assunte lungo le strade della capitale spagnola), alle ore 16.10 IL volo a destinazione Lanzarote-Arrecife ci proietta, presi da sensazioni di giubilo e trepidante attesa, nell’isola agognata da surfisti e pensionati nordeuropei! Ben consapevoli del clima fortemente variabile e incerto che caratterizza le isole nell’Atlantico non rimaniamo eccessivamente sorpresi dal vento che, non appena scesi dall’aereo, fa gli onori di casa sferzando simpatiche raffiche su corpi e menti già idealmente rosolati su paradisiache spiagge bagnate da acqua cristallina e allietate da gentili bikini.

Lanzarote è la quarta isola dell’arcipelago delle Canarie per estensione, la più nord-occidentale e forse la meno turistica, dato il basso numero di strutture ricettive e grandi centri urbani che costellano, al contrario, le sorelle maggiori Tenerife e Gran Canaria. Probabilmente è proprio questa caratteristica che le permette di mantenere intatto il caldo fascino selvaggio delle nere distese di roccia lavica, delle impervie scogliere a picco sull’ oceano e dei piccoli e bianchissimi villaggi sparpagliati sul territorio. Come scopriremo durante la nostra permanenza, grazie alla nostra piccola guida e alle chiacchiere con l’amabile e simpaticissima Natacha (proprietaria della deliziosa villetta affittata per l’occasione) non è solo il mancato afflusso del turismo di massa a disegnare e preservare al meglio quella che è oggi la bellezza naturale dell’isola. Uno dei fautori delle caratteristiche fattezze di Lanzarote è infatti il suo nativo più celebre, l’artista a tutto tondo César Manrique, nato ad Arrecife nel 1919 e morto nel 1992 a Tahìche. Pittore, scultore, architetto, ecologista e precursore del Surrealismo, dopo anni di studio ed esperienze negli Stati Uniti e nella Spagna continentale, inizia a operare affinché la sua isola natale diventasse uno dei luoghi più belli del mondo. Collaborando con le autorità locali che ne hanno condiviso principi e tecniche, realizza una serie di costruzioni e ristrutturazioni che prevedono esclusivamente metodologie costruttive tradizionali di Lanzarote, con la conseguente rinuncia a edifici con più di due piani e la soppressione di cartelli pubblicitari lungo le strade per preservare al meglio l’integrità dei meravigliosi paesaggi. Il risultato che deriva dal progetto architettonico e artistico di Manrique è l’espressione della sua visione artistica: l’unione tra uomo e natura, che sa essere allo stesso tempo armonica e contrastante, realizzata tramite l’accostamento di ruvide rocce laviche nere e grigie con lisce superfici bianche e forme tondeggianti e docili. Per rendere poi accattivante e attraente la già magnifica bellezza naturale dell’isola, Manrique ha sviluppato numerose sculture e opere che arricchiscono e strutturano i diversi siti turistici sparsi sull’isola.

Attraversando l’isola in lungo in largo si percorrono affascinanti e inaccessibili lande di magma solidificato dove l’uomo e le sue tracce trovano poco spazio, se non sotto forma di nette linee asfaltate che si perdono all’orizzonte tra gli avvallamenti e gli infiniti crateri vulcanici stagliati all’orizzonte. Il minimo impatto provocato dalle costruzioni e delle opere umane affascina anche nel momento in cui, al volgere di una curva, appaiono quasi inaspettatamente le prime case di piccoli villaggi formati da case basse con bianche mura e finestre colorate.

La ridente villetta situata tra Macher e Tias, da noi affittata per cinque notti, è un esempio della sobrietà e allo stesso tempo dell’ordine e della pulizia che regnano sull’intera isola. Una volta sistemati in questa zona, scelta come base strategica da dove iniziare la quotidiana scoperta di ogni singolo angolo dell’ isola, l’Ibiza affittata all’aeroporto ha iniziato a fare il suo lavoro, sotto le rinomante doti alla guida del collega di avventure/sventure Davide e del sottoscritto. La serata inaugurale del nostro soggiorno rivela ciò che sulle guide turistiche viene specificato varie volte: Lanzarote non è propriamente nota per la scalmanata vita notturna tipica del villaggio turistico o del resort caraibico. Ci dedichiamo quindi con gioia e appetito alla cena a base di tapas e pinchos di pesce in un piccolo pub nella vicina località di Playa del Carmen saggiando l’atmosfera serale offerta dalle piccole costruzioni basse e dal forte vento oceanico.

Il giorno dopo il clima si conferma malandrino in tutta la sua variabilità, alternando momenti di pieno e caldo sole a momenti di ombra e vento bagnati da pioggerelle improvvise. Non demordiamo e cogliamo l’occasione per iniziare l’approfondita perlustrazione dell’isola godendo del fresco e sperando nel caldo sole africano per gli ultimi giorni, ai quali decidiamo di rimandare la nostra cottura in spiaggia.

Prima tappa il parco nazionale Timanfaya nella zona del Tinajo, ovvero’infinito deserto vulcanico di rocce, crateri, canyon, frane e una costante attività vulcanica testimoniata dalle elevate temperature a soli 13 metri sotto la superficie. Accolti dallo stilizzato diavolo con forcone in legno costruito da Manrique (e diventato il simbolo di Lanzarote), una volta arrivati al parcheggio si monta su un pullman che effettua un giro panoramico percorrendo appositi sentieri, costantemente informati da un nastro registrato che spiega le recenti grandi eruzioni vulcaniche (del 1730 e del 1736) e che diffonde la maestosa Also sprach Zarathustra di Richard Strauss, colonna sonora di 2001: odissea nello spazio, del quale alcune scene furono girate proprio su questo set lunare. Ammaliati per bene da questo primo spettacolo ci dirigiamo verso la costa occidentale dove la vista dell’oceano ci fa capire perché questa è l’isola dei surfisti! Dopo un pranzo con vista saline, quello che ci aspetta è El Golfo, ennesima stupenda creazione degli eventi vulcanici dell’isola resa famosa da una scena del film Gli abbracci spezzati di Pedro Almodovar. Si tratta di un cratere formatosi a ridosso del mare che, eroso nei secoli dalle onde, ha lasciato spazio ad una laguna di color verde brillante, uno degli elementi colorati (insieme alle pareti di sabbia rossa, alle rocce grigio-verdi, alla spiaggia nera e all’acceso blu dell’oceano) di uno dei posti più belli, a mio avviso, di Lanzarote.

Lasciato questo angolo di paradiso, lungo la strada costiera ci fermiamo per una breve ma meritatissima visita a Los Hervideros, punto panoramico sulla cima di una frastagliata scogliera a picco su altissime e forti onde che col tempo hanno scavato cunicoli e passaggi percorribili a piedi nella nera roccia costiera. E’ emozionante camminare all’interno della parete rocciosa sentendo il frastuono delle onde a pochi metri sotto i propri passi. Di nuovo in macchina verso l’entroterra e la strada dei vini, dove si nota una differenza nel paesaggio fatto di sabbia nera e rocce a cui ci aveva abituato l’isola. I terreni ai lati della strada sono tappezzati di piccoli muretti a secco disposti a semicerchio, le cosiddette Geria, finalizzati alla protezione delle particolari vigne del luogo, scavate nel terreno, dalle quali viene prodotto l’ottimo vino malvasia che non tardiamo (ovviamente) a degustare in una delle migliori bodegas sulla strada (su consiglio della fedele Natacha). Percorriamo ancora qualche chilometro per arrivare esattamente al centro dell’isola, ad osservare il Monumento al Campesino, scultura creata con pezzi di piccole imbarcazioni e utensili di campagna, omaggio di Manrique alla figura del contadino, per celebrare le fatiche e i sacrifici su cui si è storicamente basata la società.

Il giorno seguente ci aspetta il nord dell’isola. Per l’esattezza la spiaggia di Famara, luogo di ritrovo di surfisti, famosa per la sua ampiezza e le enormi onde che possono soddisfare gli appetiti degli appassionati in tutte le stagioni. Non a caso, ad accoglierci per le strade del piccolo borgo accanto alla spiaggia (Caleta de Famara) troviamo un gruppo di giovani che si esibiscono in tricks vari con degli skates, proprio di fronte ad un piccolo e colorato negozio di tavole. Proseguiamo verso nord est dove man mano il paesaggio assume nuove forme e colori, con le rocce e la sabbia nera che lasciano il posto a gialli campi di aloe vera e di rocce rese verdi da un particolare tipo di lichene, finché non arriviamo ad uno dei punti più affascinanti di Lanzarote: i Jameos del Agua. Si tratta di una serie di grotte e gallerie sotterranee createsi in seguito all’eruzione del vulcano Corona all’interno delle quali si trova una calma laguna abitata da una specie unica al mondo di gamberi ciechi e albini. Un’altra cava facente parte dello stesso complesso, ospita invece un auditorium di roccia lavica. La trasformazione del sito in attrazione turistica si deve a Manrique, che l’ha arricchita di terrazze, piscina, bar e giardino. Dello stesso sistema di caverne fa parte anche la Cueva de los verdes, accessibile a un paio di chilometri dai jameos, e visitabile in gruppi di venti persone guidate da una simpatica guida che ci accompagna lungo angusti corridoi rocciosi, fiumi di lava solidificati e impressionanti strapiombi fino a mostrarci un suggestivo effetto ottico che ci ha fatto promettere di non svelare: l’ultima galleria termina in un ampia volta rocciosa, con a terra una enorme voragine che da su un profondo abisso. Per sicurezza ci viene intimato di fare assoluto silenzio e di non muoverci perché il livello di pericolosità dato dall’altezza e dalla friabilità del pavimento è molto elevato. La guida prende un volontario e gli fa scagliare con forza un sasso giù nell’abisso. Lo schianto nell’acqua e il successivo movimento ondulatorio rivelano che la profonda voragine a terra non è altro che un laghetto profondo pochi centimetri che riflette perfettamente l’ampia volta illuminata. In fin dei conti un bell’effetto ottico…

Ecco che arriviamo quindi al nostro ultimo giorno di visite cui seguirà l’agognata spiaggia! Una delle attrazioni rimanenti è il Giadino dei cactus, situato nella località di Guatiza, comune di Teguize, fornitissima riserva di piante grasse, uno degli esempi di intervento architettonico perfettamente integrato nel territorio, all’interno di un’area agricola destinata alla coltura di fichi d’india. All’interno di questa sorta di anfiteatro scavato nella terra, vi sono ospitate più di 7000 specie di cactus e due particolari costruzioni che si mimetizzano con le pareti di roccia.

E’ infine obbligata la visita alla Fundaciòn César Manrique, ex residenza dell’artista, trasformata in un museo contenente varie opere di artisti internazionali e di Manrique stesso. Ciò che colpisce al pari e forse più delle sculture e dei dipinti ospitati nel museo è il museo in sé, ovvero la casa di Manrique. Completamente costruita al di sotto della superficie terrestre formata da rocce laviche risalta in maniera impressionante per la lucentezza delle sue pareti bianche e la sinuosità delle sue linee. Per non parlare degli spazi sotterranei arredati con colorati manufatti di arte moderna e collegati tra loro da vere e proprie gallerie e caverne di nera roccia grezza. Arricchiti dalla visione di immagini relative alla vita e alle opere di Manrique ci dirigiamo finalmente alla Playa de papagayo, raggiungibile solo in macchina, nella parte più meridionale dell’isola, dopo aver attraversato una vasta landa desertica e affascinante, che rende tale spiaggia fortunatamente incontaminata nonostante le sue grandi potenzialità turistiche. L’acqua cristallina, seppur freddissima, è troppo invitante per non arrendersi al suo richiamo. Rischiando perciò una paralisi da congelamento i nostri eroi si gettano tra gli scogli sconvolgendo la calma regnante fino a quel momento, e colorando la baia dell’inconfondibile vociare italiano. Per fortuna la conformazione geologica della baia protegge dal forte vento che, tra alti e bassi non smette mai di soffiare.

Dopo un’ ultima escursione intorno ad un cratere vulcanico seguita da un ultimo tuffo nel mare di Playa blanca, ci apprestiamo a fare scorta di pane e jamon serrano, ad abbandonare la nostra cara casetta di campagna ormai assiduamente frequentata dal gatto Gordito e ad imbarcarci mestamente sul volo delle 18.20 per Barcellona, dove ci aspetterà qualche ora più tardi il volo per Roma.

Inutile dire quanto le immagini assorbite da questo viaggio abbiano reso tutti più felici e contenti, nonché soddisfatti per avere finalmente (almeno alcuni di noi) visto e toccato l’Oceano per la prima volta. Ma ciò che resta è la gioia di aver goduto di tali meraviglie (tanto per cambiare) a prezzi contenuti!

Ah, e anche l’abbronzatura fuori stagione!

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(testo e foto di Matteo Giarraffa)

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