Roma, VI Mojo Station Blues Festival


Nel primo weekend di dicembre abbiamo partecipato al VI Mojo Station Blues Festival, tre serate di blues in tre diversi luoghi della Capitale, lo spazio “Indiateca” al teatro India, il Clockwork Roma nel quartiere Pigneto, il Jailbreak in zona Tiburtina. Onore al merito di chi ha lavorato sodo per organizzarle e che poi ci ha commentato tutta intera rassegna. E al suo commento appassionato di “militante” non aggiungeremmo altro.

“Blues. Musica viva e viscerale. Contraddistinta da sapori, suoni ed immagini intense. Non solo nella sua Golden Age. Piuttosto che essere una “musica morta”, in barba ad affermazioni di giornalisti musicali di dubbia valenzia, il Blues gode di una solidissima salute. D’altronde, anche del Rock si favoleggia da anni una marcia funebre ancora lungi da venire. Il tempo scorre, i piani quinquennali anche, i decenni scivolano dietro le terga con velocità, ma poco importa. La musica in generale è una forma di linguaggio all’ennesima potenza. E quando nasce da un afflato popolare, magari come espressione di disagio per un contesto geografico e sociologico non propriamente ottimale per vivere, difficilmente muore, bensì, si trasforma ed acquisisce nuove identità, nuove modalità per entrare in empatia col pubblico, nuove immagini.
Proprio il rapporto con una percezione del visuale -indicando con questo tutto quello che è tratto grafico, illustrato e fotografia- è una delle preoccupazioni che ci anima sin dalla prima edizione del Mojo Station Blues Festival, targata 2005. Cercando di calarci nei panni del pubblico, abbiamo immaginato che nel secondo millennio si potesse costruire sì qualcosa che fosse una rappresentazione di alterità culturale d’autore -il Blues per l’appunto- ma che fosse importante farlo con gli strumenti contemporanei. Usare quindi l’arte visuale nelle sue forme. Ecco quindi che in sei anni abbiamo organizzato decine di concerti con numerose anteprime europee ed italiane, includendo i migliori esponenti del Blues contemporaneo fuori dal giro mainstream.
Alcuni parlano di noi definendoci un Festival di “Roots Blues”. E’ vero. E’ importante proporre le cose più autentiche e genuine, altrimenti sarebbe una proposta tediosa e priva di feeling. Che porterebbe a tediosi assoli sulla sei corde di noiosi chitarristi. Ed allo stesso modo cerchiamo di usare un liguaggio contemporaneo – quindi “Roots”- anche per raggiungere il nostro pubblico: ha un senso quindi organizzare mostre fotografiche una rassegna dopo l’altra, ha un senso avere illustratori e disegnatori di prima importanza a curare l’artwork del Festival, ha un senso usare il web come amplificatore visivo dei nostri artisti. Ha un senso perchè il pubblico -fortunatamente- ci conferma che abbiamo intrapreso almeno fino ad ora, la scelta giusta. Immagini quindi, in b/n o a colori, che portano la memoria indietro a quel concerto che si è vissuto live qualche anno prima. Immagini quindi che fermano un’istante e che permettono sia al pubblico che a noi, di connettersi con un ricordo che altrimenti si farebbe via via labile nella memoria.
Grazie a tutte/i quelli che hanno scattato per noi. E grazie a quelle/i che lo faranno. Suoni & Visioni, che raccontano il Blues.”

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(testo di G. Diana, foto di A. Fiori e L. D. Russo)

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