Along The Borderline – A tribute to Nico

Album Fotografico

Sicuramente sarà stata colpa  di qualche filtro per la ricerca, ma la mattina dopo il concerto “Along The Borderline – A tribute to Nico” all’Auditorium Parco della Musica di Roma,  alla richiesta “Tributo Nico”  Youtube rispondeva con “Tributo a Nico Giraldi- Thomas Millian”. Abbiamo trovato la cosa divertente, l’abbiamo raccontata in giro, però dopo abbiamo pensato che, Youtube a parte, la scarsa fama di Nico è davvero inspiegabile. Se non altro per la bellezza assoluta, per aver avuto un figlio da Alain Delon, per essere stata notata a una festa da Fellini e subito voluta per una comparsata ne La Dolce Vita, per aver passato l’estate del ’67 con Jim Morrison, per essere stata l’amante di Cage. No, il ricordo di Nico, è per i più all’ombra dei Velvet Underground  di Lou Reed, di cui fu la chanteuse nel disco con la banana warholiana in copertina. Sarà inimmaginabile, per questo, la soddisfazione di Lou Reed, perché Nico fu imposta da Andy Warhol e i Velvet Underground la subirono più che accettarla. Per lei Lou Reed scrisse brani tra i più belli del disco (“Femme Fatale”, “I’ll be your mirror” e “All Tomorrow Parties”) ma, temendo che catalizzasse l’attenzione del pubblico oscurando il gruppo, finì  per cacciarla (“Ok, viene benissimo nelle fotografie in bianco e nero, ma ne ho avuto abbastanza”).  Come regalo d’addio le registrò le basi musicali su un nastro e Nico cominciò l’attività da solista al piano di sotto del leggendario club “The Dom” dove i Velvet erano di casa.  Warhol racconta che “era patetico vedere questa donna così alta e così bella cantare al suono di una musica registrata su un nastro da quattro soldi e durante le pause il volto le si riempiva di lacrime perché non riusciva mai a ricordare come funzionavano i tasti” del registratore. Paul Morrissey, regista frequentatore della Factory, riuscì a procurarle chitarristi come Tim Buckley, Jackson Browne, Tim Hardin, ma solo con la promessa di produrre loro una serie di pezzi se suonavano un po’ per lei; comunque Nico aveva un caratteraccio e solo con Jackson Browne, allora sedicenne, durò più di un po’. Alla fine John Cale le regalò un harmonium, le insegnò a suonarlo e Nico si mise davvero in proprio. L’harmonium  e Cale rimasero anche dopo la fine della frequentazione con Warhol e la Factory, e solo allora vennero fuori The Marble Index, Desertshore  e la figura della valchiria gotica e lugubre che poi non ha avuto uguali nella storia della musica. Da questi due album, assolutamente incongrui per l’epoca (del 1968 e del ’71, rispettivamente, e suonano strani anche oggi), è stata pescata la maggior parte della scaletta del tributo curato da John Cale che, in giro dal 2008, ha coinvolto interpreti davvero d’eccezione.  La prima edizione dell’evento si è consumata nella Royal Festival Hall di Londra in occasione di quello che sarebbe stato il settantesimo compleanno di Nico, l’Italia è stata invece toccata la prima volta l’anno scorso a Ferrara.  In quella occasione intervennero Lisa Gerrard (Dead Can Dace), Mark Linkous (Sparklehorse, recentemente e tragicamente scomparso), Peter Murphy (Bahuaus), Mark Lanegan, Anja Plaschg (Soap&Skin), Jonathan Donahue (Mercury Rev). Anche questa volta, a Roma, Falconer (Desert Shore) è stata affidata all’incredibile voce di Lisa Gerrard che appare sul palco della  Sala Santa Cecilia in un sontuoso velluto rosso subito dopo il primo pezzo (Frozen Warnings da The Marble Index) con  John Cale da solo al piano. Poi è la volta di Laetitia Sadier (Stereolab), Mark Lanegan, le Coco Rosie, Joan Wasser (Joan As A Policewoman), Jonathan Donahue, Shara Worden (My Brightest Diamond). Infine arriva anche  Soap&Skin, finora  impegnata nell’altra sala (l’Auditorium, domenica 11 aprile, era teatro della caotica e raffazzonata rassegna di musica elettronica e sperimentale Meet In Town, che si è appropriata anche del concerto-tributo). L’eccellenza qui è una regola: anche se nessuno ha la voce salmodiante e ipnotica di Nico e nessuno tenta scioccamente di imitarla, l’ispirazione è quella originale, inquietante, oscura, marmorea (Camera Obscura, del 1985, e The Marble Index non sono certo stati titoli a caso).  Persino le Coco Rosie, pur mantenendo il loro marchio di fabbrica (le vocine e la teatralità tanto irritanti per qualcuno) rendono piena giustizia allo stile gotico-apocalittico e monolitico della cupa valchiria. Siamo sicuri, poi, che Nico stessa per il suo cavallo di battaglia, che è l’intesissima Janitor of Lunacy, in originale per sola voce e harmonium, avrebbe approvato l’energica interpretazione di Joan Wasser. La voce grave di Mark Lanegan, monumentale nel suo completo nero –  un po’ provato e invecchiato, ci sembra – intona poi Roses In The Snow  (The Marble Index) e nella seconda parte Win a Few (Camera Obscura), ma è Jonathan Donahue (Evening of Light  da The Marble Index e Fearfully in Danger da Camera Obscura), con le orecchie argentate da elfo, a strappare gli applausi più fragorosi per il coinvolgimento, il travestimento e l’energia della sua esibizione – nonché della band che lo accompagna. Chiude il concerto John Cale prima dell’ensemble finale con la marcia incalzante di All Is That My Own (Desertshore). Un momento! Tra le guest star figura anche tale Nick Franglen, ma chi è Nick Franglen? Va be’, non si può sapere tutto, e più di tanto non ce ne rincresce: Franglen a parte, ci ritroviamo felici, appagati, soddisfatti  di una soddisfazione che sentiremo anche domani, quando proveremo più volte a spiegare, purtroppo invano, il perché di questo strano entusiasmo che fatica a svanire. Per l’intanto ci diciamo che sono i dischi di Nico che adesso vogliamo risentire, tutti e subito.

P.S. Concluderemmo, dopo averli riascoltati, che, al contrario di molte cover, questa volta la versione più bizzarra è l’originale.

Riferimenti:

(testo e foto di Angelamaria Fiori)

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