Neve in città (nostalgia di Marcovaldo)

Se oggi a Roma non fosse nevicato, la bufera ci sarebbe stata comunque, ma, modello nuvola di Fantozzi, si sarebbe abbattuta ad personam su Alemanno.

All’annuncio della chiusura straordinaria delle scuole, ieri, i genitori sono partiti in quarta contro il Sindaco:

– Eh? Mo’ dove li parcheggiamo i pargoli?

– No, volevo dire…. le scuole sono aperte per i genitori che avessero bisogno di lasciare i figli, però niente didattica.

Schiere di dipendenti pubblici hanno subito preso la rincorsa e iniziato a polemizzare:

– Niente didattica? Gli insegnanti in vacanza? Com’è? A chi sì e a chi no?

– No, scusate, fatemi parlare. Allora, facciamo così: scuole aperte, ma è sospesa la didattica, però tutti gli insegnanti e i bidelli sono precettati… e se non hanno nessuno in classe, magari si portano avanti col registro…

Insomma, quando in ufficio in tarda mattinata vediamo i primi fiocchi di neve ci immaginiamo tutti, ad alta voce, il sindaco che si asciuga la fronte, lancia uno sguardo di dolore a Marco Aurelio fuori dalla finestra e tira un lungo sospiro di sollievo.

Mezz’ora dopo al bar interno sento un collega preoccuparsi per lo stato delle strade. Mi scuso preventivamente, poi lo sbeffeggio (sono pochi motivi per vantare le origini abruzzesi, questo è uno): Ti pare? Mai visto la neve attaccarsi sulle strade a Roma! E’ che nessuno qui sa cos’è la neve!

Pochi minuti e non è che nevica: scendono giù in vortici fitti veri e propri batuffoli di ovatta come quando uno ribalta le palle con la neve con dentro Babbo Natale. Ammutolisco e mi viene, senza che possa impedirlo, un sorriso infantile che neanche da infante, secondo me, ero capace.

All’ora di pranzo faccio per uscire per arrivare da Feltrinelli a via Appia, i miei compagni di stanza stanno per avviarsi a mensa e cercano di trattenermi: Ma che, sei matta? E no, glielo leggo in faccia: non è che veramente pensano che sia matta, pensano che sia proprio cretina.

Quando scendo nell’atrio la gente già ha cominciato a sciamare, ma non per la pausa. Infatti il collega di prima, quello del bar, scappa a casa. Via Tuscolana è già bloccata e mi torna subito in mente che neve in città vuol dire pappetta fangosa ovunque.

Pochissima gente in giro, macchine imbottite di ovatta, parabrezza ovattati, alberi brizzolati, le strade con la melma, lo sciacquettio dei passi, una luce strana e diffusa, un odore strano.

Un trittico di bambini con la mamma che giocano a palle di neve in Piazza Cantù, una macchina che slitta e un vecchio che dice che non c’è niente da fare, la trazione posteriore con la neve è un disastro.

I passanti con cui incrocio lo sguardo mi sorridono, con una ragazza, addirittura, ci guardiamo, rallentiamo e ridiamo, allora mi viene in mente il post di un blog che ho letto ieri sera e che dice: “[…] mai socializzato con tanti vicini come ieri durante il diuturno spostamento dei cumuli di neve generosamente messi a disposizione dall’Amministrazione. C’è mancato poco che qualcuno portasse fuori una tinozza di vin brulé e s’improvvisasse una sagra di paese. A dimostrazione che sono le difficoltà a unire le persone e che se i Popoli Nordici sono così più civili di noi un motivo ci dovrà pur essere. Se solo si potesse far nevicare, che ne so, per cinque anni di fila.”

P.S. Questo è Marcovaldo.

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(testo e  foto di A. Fiori)

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