Quando uno sente il suono del violino arrivargli da dietro pensa al dolby surround e subito, trovandosi nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica per Ludovico Einaudi, s’irrigidisce un po’. La cosa si spiega solo quando si cominciano a intravedere, nel buio pressoché totale, due archi che attraversano fisicamente l’intera platea e poi salgono sul palco. Infine, sotto la concessione di tenui luci blu notte, Nightbook inizia.
L’ultimo disco di Ludovico Einaudi era stato presentato proprio all’Auditorium di Roma il 20 settembre scorso e il concerto, pur essendo il secondo in poco tempo, è di nuovo sold out, per giunta in una domenica piena di eventi per la capitale (non ultimo il derby che si sta consumando proprio qui vicino). Il Parco della Musica brulica di vita non solo per Einaudi, ma anche, più prosaicamente, per l’aperitivo al lounge bar e la pista di pattinaggio sul ghiaccio. Altro evento nella Sala Sinopoli, “Sostieni le mie mani”, il primo concerto di musica per sordi con la partecipazione straordinaria di Eugenio Finardi.
Il concerto inizia in punta di piedi, in un’intimità in cui si ha timore anche di respirare. L’intensità di Einaudi al piano e la delicatezza della sua composizione, apprezzati ovunque durante il recente e trionfale tour, come una promessa, ma anche come un prodigio, si ripetono questa sera. Il pubblico è eterogeneo e tenuto in costante sospensione vitale da suoni che si stenta a credere prodotti dalle semplici corde percosse del piano, pizzicate della chitarra (Federico Mecozzi), sfregate dagli archetti del violino (sempre Mecozzi), della viola (Antonello Leofreddi), del violoncello (Marco Decimo). Poi l’elettronica (Robert Lippok), la vera sorpresa, che scandisce la preziosa ragnatela sonora intessuta dagli altri strumenti e a loro si integra perfettamente, pur imponendosi su tutti nei passaggi più intensi e sonori. Chi conosce Nymann torna subito col pensiero alla sua musica, ma solo per riconoscere qui una netta superiorità sia per la composizione che per l’esecuzione. No, il paragone è svilente dell’eccellenza del lavoro di Einaudi, dell’originalità del suono e della densità delle sensazioni trasmesse. Davvero è come se la musica facesse sparire il pubblico per lasciarlo tornare in sala durante i brevissimi intervalli tra un pezzo e l’altro perché, tra l’altro, è solo questi momenti che, stranamente, la gente si ricorda di avere la tosse, quella vera.
(testo e foto di Angelamaria Fiori)
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