Da Vilnius a Riga c’è una strada dritta di quattrocento chilometri, una specie di via Emilia versione baltica. A differenza della nostra, però, non è che il percorso brulichi di vita: grappoli di case sparse e un solo vero centro abitato. La parte più entusiasmante del viaggio è una rotonda, apparentemente il nodo di tutta la viabilità dell’area baltica. Siamo già in Lettonia, cioè Latvia, e dalla rotonda parte una strada che va a Vilnius, una che va a Riga, una per Tallin e una quarta diretta a Jurmala, una località balneare (però sinceramente non so se si fa il bagno nel Baltico).
Lituania e Lettonia sono parenti solo sulle carte geografiche perché, a parte il periodo sovietico, la storia le ha viste sempre separate, per esempio una polacca e l’altra svedese (poi tedesca). Diversa la lingua, diversa pure la moneta, tanto che, avendo euro, corone ceche, litas lituane e lati lettoni, in un negozio ho dovuto svuotare il portafogli davanti alla cassiera e far scegliere a lei la valuta giusta.
Ho letto due cose su Riga e una è che i dominatori stranieri (prima gli svedesi, poi i tedeschi) avevano confinato gli indigeni in casette di legno fuori della cinta muraria. In caso di attacco nemico i lettoni dovevano bruciare tutte le loro cose e rifugiarsi dentro le mura. La consuetudine fu mantenuta nei secoli e nel 1816 pare sia capitato che una vedetta sul campanile di San Pietro, appostata in attesa di Napoleone, abbia dato l’allarme vedendo una nuvola di polvere avvicinarsi in velocità. Subito tutto fu dato alle fiamme, comprese diverse chiese ed edifici pubblici. Poi si scoprì che si trattava di una mandria di mucche.
Riga ha la wi-fi entro 100 m da tutte le cabine del telefono, però Audrey Hepburn si chiama Odrijas Hepbernas.
Riga è molto più russa di Vilnius, infatti il cirillico si vede un po’ dappertutto. Difatti, austerità sovietica e presidio militare per il fotografatissimo monumento alla libertà, cioè una colonna con in cima una donna che tiene 3 stelle in mano.
Però Riga è soprattuto una città di pinnacoli, torrette, campanili di epoca e foggia le più varie, ma soprattutto bizzarrie art-nouveau. Che sono però lontane dalla sensualità del Liberty o della scuola viennese: le decorazioni qui sono severe, qualcuna d’ispirazione, come dire, futurista, qualcuna dal gusto decisamente macabro.
Sarà che mi sono applicata poco, ma alcune cose di Riga mi sono rimaste oscure. Per esempio una piazza completamente riempita di sabbia. O un monumento ai musicanti di Brema accanto al Duomo (le bestiole c’entrano con Riga come Frank Zappa con Vilnius). E poi non era il Duomo, era l’altra chiesa identica al Duomo (sì, perché ci sono due chiese che se non sono proprio uguali, si assomigliano parecchio). Però, passando per caso in una mostra fotografica ho scoperto che c’è del genio in Latvia e se non ci credete andate a vedere chi è e che fa un tale Roman Korovin (http://www.romankorovin.com/).
Al ritorno la stessa via Emilia dell’andata, ma questa volta il percorso è animato da un insolito diversivo: dentro il pullman lo schermo dedicato all’intrattenimento dei viaggiatori ha trasmesso per tutto il tempo, a circuito chiuso, la strada ripresa da una telecamera piazzata sul parabrezza. Praticamente, la stessa strada dritta dell’andata con in più gli insetti che si spiaccicano sull’obiettivo della telecamera. Che dire? Il reality definitivo, cioè la realtà trasmessa in diretta a quelli che la stanno guardando. L’iperrealtà?
(testo e foto di Angelamaria Fiori)
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